Ematologia di precisione significa oggi terapie in grado di mirare a precisi bersagli molecolari e tecnologie diagnostiche sofisticate che riconoscono le alterazioni molecolari da colpire. Questi infatti i risultati ottenuti o a portata di mano per la cura delle malattie ematologiche complesse e “orfane” di cure efficaci, come la leucemia mieloide cronica, la leucemia mieloide acuta e le malattie mieloproliferative.

Nel futuro, la comprensione sempre maggiore della genomica dei tumori e l’incrocio di milioni di dati biologici permetterà la messa a punto di terapie sempre più mirate sul tumore e sul paziente. Grazie alla rete LabNet, realizzata da Ginema (Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto) e con il supporto di Novartis, l’Italia è in prima linea per permettere ai centri di ematologia e ai laboratori specializzati di condividere le informazioni sulle mutazioni genetiche, il loro significato prognostico e i trattamenti mirati a cui rispondono.

«L’ematologia di precisione si colloca nel concetto di medicina di precisione» afferma Fabrizio Pane, professore di ematologia e direttore UO di ematologia e trapianti all’Azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli e presidente della Società italiana di ematologia. «Essa ha come chiave la messa a punto di farmaci innovativi mirati a specifici bersagli molecolari, usati per la prima volta nella cura della leucemia mieloide cronica, sulla quale hanno avuto risultati molto positivi. Il vantaggio più importante è dovuto alla possibilità di personalizzare le cure in funzione del bersaglio molecolare, assicurando maggiore appropriatezza ed efficacia terapeutica, migliore qualità di vita ai pazienti e significativi risparmi».

Un altro campo che beneficia dell’approccio di precisione riguarda le malattie ematologiche rare, come mielofibrosi, policitemia vera e trombocitemia essenziale, per le quali fino a oggi mancavano risposte efficaci. Anche per loro sono state identificate alcune mutazioni grazie a un importante contributo della ricerca italiana, che causano un’alterazione di una via biologica detta Jak-Stat.

«In questo momento c’è gran fermento perché abbiamo iniziato a correlare il significato delle mutazioni con la situazione dei malati, creando farmaci in grado di inibire in modo mirato il target mutazionale, come ruxolitinib, inibitore di JAK2 per il trattamento della mielofibrosi» afferma Tiziano Barbui, direttore scientifico della Fondazione per la ricerca all’ospedale maggiore di Bergamo. «Un importante impulso alla cura delle malattie mieloproliferative del sangue potrebbe arrivare dal progetto Jaknet, un network che promuoverà la collaborazione tra numerosi ospedali italiani per offrire pari opportunità nella diagnosi e nella terapia a tutti i pazienti italiani con queste malattie».

(Cesare Betti)