Le persone con epatite C devono affrontare ogni giorno diversi problemi di ordine pratico, a causa di numerosi pregiudizi. Molti si sentono costretti a nascondere la loro condizione a familiari, amici e colleghi di lavoro; altri si sentono soli, affrontando quella che alcuni descrivono come la peggiore epidemia di sempre.

«Tenere sotto controllo la progressione della malattia è fondamentale per decidere se il malato ha bisogno di una cura oppure se è meglio aspettare e vedere come evolve la situazione» puntualizza il professor Antonio Craxì, ordinario di gastroenterologia all’Università degli studi di Palermo.

La decisione di iniziare un trattamento e il momento di farlo dipendono da alcuni fattori, come la valutazione del danno epatico, la presenza di altre malattie (per esempio, l’infezione da Hiv), la quantità di virus presente nell’organismo e il genotipo virale.

Pubblicando i risultati di altri quattro studi, AbbVie ha annunciato di aver terminato il programma clinico di fase III per la valutazione di uno schema terapeutico orale e privo di interferone, con e senza ribavirina, per la cura dei pazienti con infezione cronica da epatite C di genotipo 1.

I risultati confermano quelli precedentemente pubblicati e offrono un’ulteriore dimostrazione della capacità di questo schema nel determinare elevate percentuali di tollerabilità e di risposta virologica dopo 12 settimane dal termine del trattamento.

«L’attesa di nuovi progressi nelle cure e la riluttanza dei pazienti sono due ulteriori motivi per cui il trattamento non viene iniziato subito dopo la diagnosi» continua Antonio Craxì. «I pazienti con infezione da epatite C non sottoposti a terapia dopo la diagnosi vanno tenuti sotto osservazione e la cura va avviata immediatamente in caso di progressione della malattia epatica».

Gli esiti delle sperimentazioni di fase III dei quattro studi hanno interessato 2.300 pazienti di 25 Paesi e vanno a confermare l’efficacia dimostrata dal regime sperimentale in numerosi e diversi tipi di malati da epatite C di genotipo 1, con livelli di risposta dopo 12 settimane di trattamento compresi fra il 92 e il 96% anche nei pazienti difficili da trattare, come quelli con cirrosi epatica. Le elevate percentuali di risposta e la buona tollerabilità della cura, associate alle basse percentuali di interruzione del trattamento sono risultati estremamente promettenti. Il lancio della terapia negli Stati Uniti è previsto per il 2014.

(Cesare Betti)