Uno degli argomenti trattati nel corso del 14° congresso dell’Associazione medici endocrinologici ha riguardato l’uso dei farmaci biosimilari, speranza per milioni di pazienti con malattie invalidanti e croniche, come tumori e malattie renali, ma anche per problemi endocrinologici, come diabete e disturbi legati alla crescita.
«In Italia, il loro utilizzo non è molto diffuso e il nostro Paese si posiziona dopo Polonia e Spagna: meno del 20% dei pazienti interessati usa un biosimilare al posto di quello originale» spiega Dominique Van Doorne, responsabile Ame patients advocacy e Progetto european patients’ academy on therapeutic innovation.
In Italia ci sono tre classi di principi attivi in commercio: le epoetine (eritropoietine), per l’insufficienza renale e l’anemia da terapie oncologiche; il filgrastim (fattore di crescita dei globuli bianchi) per le terapie oncologiche e in caso di trapianto; la somatropina (ormone della crescita) per i bambini sotto statura per un deficit dell’ormone della crescita, una particolare condizione genetica di nanismo.
Un farmaco biosimilare non è altro che una nuova versione dei farmaci biologi già esistenti, cioè farmaci prodotti da organismi viventi o da essi derivati attraverso l’uso delle biotecnologie e il cui brevetto è scaduto. Si tratta di molecole complesse prodotte da organismi viventi che possono risentire di variazioni durante il processo di produzione. Per questo motivo, diversamente dal farmaco generico di sintesi chimica, prima di essere immesso in commercio, il farmaco biosimilare deve essere sottoposto a test sugli esseri umani (studi clinici di fase III) che confermino efficacia e sicurezza rispetto al prodotto di riferimento. La somiglianza biologica, quindi, non viene stabilita soltanto in laboratorio, ma anche con studi clinici che non erano invece necessari per i generici classici.
«Non siamo contrari all’uso di questi farmaci, ma chiediamo all’Aifa di garantire una stretta sorveglianza dei biosimilari» afferma Cinzia Sacchetti, presidente dell’Associazione di famiglie di soggetti con deficit ormone della crescita e altre patologie. «Siamo consapevoli che il loro uso porterà a un risparmio di risorse, ma chiediamo che questo non sia a scapito della qualità e dei profili di efficacia e sicurezza dei farmaci».
Per questo, è essenziale una stretta collaborazione tra i protagonisti del percorso assistenziale e le varie società scientifiche ed enti di ricerca. Un esempio è il Progetto farmagood-biosimilari dell’Istituto Mario Negri, che si propone di costruire, in un percorso concordato e con gli operatori del Servizio sanitario regionale, attività e interventi per promuovere l’appropriatezza dei percorsi di cura e la razionalizzazione delle prescrizioni dei medicinali biologici originatori e biosimilari; monitorare il profilo beneficio-rischio del loro uso e ottenere risparmi nella spesa farmaceutica e sanitaria.
(Cesare Betti)