Medicina di genere: la salute non è neutra
Nascere di sesso femminile o maschile non è solo l’inizio di una vita caratterizzata da diverse strutture corporee e da differenti potenzialità riproduttive, ma rappresenta anche un importante determinante per la salute umana.
Se è vero che le donne vivono più a lungo degli uomini, è vero anche che si ammalano di più e passano l’ultima parte della loro vita in condizioni peggiori degli uomini. La salute non è neutra e anche in medicina va applicato il concetto di diversità, per garantire a chiunque, donne e uomini, la miglior cura possibile in base alla specificità di genere.
Già da tempo si sente parlare di medicina di genere, cioè la branca della medicina che si occupa di valutare le espressioni delle malattie negli uomini e nelle donne con due termini per descrivere tali differenze: sesso e genere. Il sesso indica la predisposizione naturale a manifestare o no una malattia, per esempio per caratteristiche genetiche, ormonali a seconda che la persona sia maschio o femmina. Il genere, invece, indica le condizioni ambientali che possono influenzare l’evoluzione di una malattia negli uomini o nelle donne, per esempio esposizione ai rischi o serietà dei sintomi.
Per troppo tempo, le malattie, la prevenzione e la cura sono state studiate soprattutto nell’uomo, sottovalutando le caratteristiche biologiche, ormonali, anatomiche, sociali e culturali delle donne. Uomini e donne, infatti, hanno un diverso rischio di contrarre le malattie e una diversa risposta alle terapie. Non è solo scientificamente ed eticamente scorretto trasferire i dati dall’uomo alla donna, ma è anche un errore metodologico. La salute di genere è chiamata pertanto a ridurre le disparità che sono state a carico delle donne e a costruire una medicina al femminile.
Tali conoscenze facilitano una maggiore appropriatezza di cura e tutela della salute, garantendo il principio di equità. Per questo è diventata un’esigenza del Servizio sanitario nazionale e il ministero della Salute ha stilato il Manifesto per la medicina di genere. Nel 2001 l’Organizzazione mondiale della sanità la inseriva nell’Equity act, inteso come equità e appropriatezza alle cure secondo il proprio genere ed è iniziato un percorso in più direzioni che studia le differenze di sicurezza ed efficacia dei farmaci in base alla sperimentazione clinica e al genere.
La maggior parte dei farmaci è stata studiata sugli uomini adulti, senza pensare alle differenze di farmacodinamica e farmacocinetica. Il caso dell’osteoporosi maschile è significativo: gli uomini hanno più effetti collaterali e minore efficacia curativa perché la sperimentazione dei farmaci per l’osteoporosi è stata fatta solo sulle donne.
E nelle donne non solo c’è una diversa predisposizione alle malattie, ma compaiono anche in maniera diversa. Per esempio, il dolore dell’angina si localizza più spesso alla schiena, all’emitorace sinistro e non al centro del petto o allo stomaco, come nell’uomo, mentre il tumore al polmone predilige zone periferiche nelle donne e sviluppa più tardi la sintomatologia. E sono numerose anche le differenze nel segnalare i sintomi, spesso sottostimati dalle donne.
(Cesare Betti)