Mal di schiena: movimenti corretti e un trattamento farmacologico adeguato sono la soluzione

 

di Matteo Longhi, U.O. di Reumatologia, IRCCS, Istituto Ortopedico Galeazzi, Milano

 

Il mal di schiena è una condizione molto frequente caratterizzata da episodi dolorosi a carico del rachide, spesso accompagnati da episodi di recidive con periodi più o meno lunghi di remissione le cui cause, intensità e durata possono essere molto diverse.

 

Nei Paesi industrializzati la sua incidenza annuale è massima fra i trenta e i cinquanta anni e si calcola che più del 70-90% delle persone abbia avuto almeno un episodio di mal di schiena durante la vita.

Ogni anno il 15-45% degli adulti soffre di dolore lombare e una persona su venti presenta un nuovo episodio. Negli USA il mal di schiena è il secondo sintomo che porta a richiesta di visite mediche e la quinta causa globale di prestazioni mediche considerate nell’insieme (1, 2).

 

È una patologia molto impattante anche in termini di costi economici in quanto determina un’assenza dal lavoro nel 15,5% dei casi, come determinato in studi con un follow-up per almeno 6 mesi (3), e la perdita di produttività non è legata solo all’assenteismo, ma anche alla ridotta produttività dei soggetti che, pur soffrendo di mal di schiena, si presentano comunque sul posto di lavoro (fenomeno del presenteismo). (4)

Inoltre, la prolungata assenza dal lavoro che si può avere nei casi di maggiore severità, così come per altri stati di salute compromessi, è stata dimostrata correlare con un aumento di 2-3 volte il rischio di sviluppare disturbi psicologici permanenti, aumentando anche il rischio di mortalità. (5, 6)

 

Mal di schiena: il quadro generale

Tracciando un quadro generale della patologia, si può osservare che la maggior parte dei pazienti è affetto da un mal di schiena che può essere definito aspecifico, cioè presenta una condizione in cui il dolore dorso-lombare non è attribuibile a una causa nota, come per esempio un processo infettivo, osteoporosi, fratture, deformità vertebrali, sindrome della cauda equina e radicolite. (7)

 

Infatti in oltre il 90% dei casi non si riesce a identificare la causa del mal di schiena, soprattutto nelle forme che interessano la zona lombare (lombalgia aspecifica-low back pain), che peraltro risultano 4 volte più frequenti rispetto alle forme dove il dolore è più alto. (8)

 

Anche se nella maggior parte dei casi il medico si trova di fronte a una lombalgia non specifica, con prognosi favorevole, il percorso diagnostico deve sempre prevedere l’iniziale esclusione di cause gravi e/o sistemiche e/o viscerali, come per esempio fratture, tumori, malattie spinali, affezione degli organi pelvici o addominali, malattie infiammatorie della colonna.

 

Mal di schiena: le red flag


I segnali di allerta per una lombalgia non aspecifica da attribuire a cause maggiori o sistemiche includono:

  • perdita di peso
  • anamnesi di malattia tumorale
  • trauma maggiore
  • dolore notturno
  • febbre
  • anestesia in regione pelvico-inguinale
  • disturbi della minzione e della defecazione
  • sintomi neurologici ingravescenti
  • abuso di droghe per via endovenosa
  • uso cronico di steroidi (10)

 

Mal di schiena: anamnesi

Anamnesi ed esame obiettivo sono spesso sufficienti per valutare il paziente con mal di schiena, porre diagnosi e definire il trattamento.

 

La valutazione anamnestica prende in considerazione:

a) età (un tempo si riteneva rara la lombalgia nel bambino e nell’adolescente, mentre una revisione di studi epidemiologici più recenti dimostra una frequenza pari all’età adulta) (9);

b) studio del dolore: – sede (lombare, glutea, dorso/lombare) – insorgenza (insidiosa, acuta, post-traumatica) – qualità (urente, trafittivo, gravativo) – irradiazione (dorsale, a fianco, coscia anteriore e posteriore) – orario (continuo, mattutino, serale, notturno) – rapporto con la postura (in clinostatismo, in ortostatismo, in posizione seduta) e con il movimento;

c) debolezza e riduzioni segmentali di forza;

d) disabilità e ripercussione sull’attività lavorativa;

e) risposta a precedenti trattamenti;

f) fattori di rischio fisici, psico-sociali e lavorativi.

 

I lavori pubblicati sono soliti distinguere sulla base della durata lombalgia acuta (meno di 6 settimane), subacuta (tra 6 e 12 settimane) e cronica (più di 12 settimane) (11), anche se non tutti gli autori ritengono che sia sufficiente il criterio cronologico, ma che sia necessario indagare anche la sede e la gravità dei sintomi, esplorare anche la sfera psichica, la richiesta di prestazioni mediche e di trattamenti (12, 13).

 

Circa il 10-15% dei pazienti con una lombalgia acuta sviluppa una condizione di dolore cronico, che diventa una sfida per gli operatori della sanità con aumento progressivo di richiesta di risorse (14).

La diagnostica strumentale che di solito viene utilizzata, a volte anche in eccesso, spesso non è risolutiva nella diagnosi di lombalgia, come emerge anche dalla letteratura e come viene evidenziato nelle principali linee guida (15, 16). Alcune alterazioni del rachide che sono riscontrabili con le indagini strumentali, infatti, sono decisamente comuni anche in soggetti sani senza alcuna sintomatologia.

 

Mal di schiena: le linee guida per il trattamento


Le principali linee guida per il trattamento della lombalgia acuta aspecifica raccomandano di rassicurare il paziente e di suggerirgli di rimanere attivo, evitando l’allettamento, di educarlo a movimenti corretti, evitando i carichi, e ovviamente raccomandano di trattare il dolore in maniera adeguata.

 

Gli antinfiammatori non steroidei rappresentano il caposaldo della terapia medica, sopravanzando in efficacia il paracetamolo, in casi selezionati invece possono essere raccomandati farmaci oppioidi, mentre i farmaci miorilassanti rappresentano una terapia aggiuntiva e di seconda scelta (4, 17).

 

I FANS sono il caposaldo della terapia medica della lombalgia acuta aspecifica

 

Nei differenti studi in letteratura gli antinfiammatori non steroidei si sono dimostrati efficaci nel controllo del dolore (18). Tra questi possiamo citare il naprossene che è stato valutato in confronto ad altri farmaci o versus placebo.

 

In un recente studio randomizzato condotto in un centro di 3° livello su 150 pazienti con lombalgia acuta, con età oltre i 18 anni, naprossene 500 mg è stato confrontato con aceclofenac 100 mg, diclofenac 100 mg, nimesulide 100 mg nella riduzione del dolore, dimostrando un’efficacia sovrapponibile senza differenze statisticamente significative, anche per quanto riguarda gli effetti collaterali (19).

 

Anche in uno studio più datato naprossene sodico 550 mg per 2 volte al giorno è stato confrontato con diflunisal 500 mg per 2 al dì e con placebo con uno schema a doppio cieco in 3 braccia, dimostrando una differenza statisticamente significativa tra naprossene e placebo nel controllo del dolore notturno e nel dolore al movimento, mentre diflunisal non ha mostrato differenze rispetto al placebo. Gli effetti collaterali non sono stati differenti nei tre gruppi (20).

 

In un altro studio ancora il naprossene a dosaggi inferiori di 250 mg per 2 volte al dì è stato confrontato con diclofenac 25 mg per 3 volte al dì e ha mostrato pari efficacia nel controllo del dolore lombare in 58 pazienti (21). È stato anche dimostrato che l’aggiunta di analgesici oppioidi e/o decontratturanti non sembra offrire ulteriori vantaggi rispetto al solo naprossene nel controllo del dolore lombare.

 

Uno studio randomizzato controllato a 3 braccia ha considerato 323 pazienti con lombalgia acuta non traumatica e non radicolare, trattati con naprossene 500 mg per 2 al dì, cui sono stati aggiunti mediante randomizzazione 1) placebo; 2) ciclobenzaprina 5 mg; 3) ossicodone 5 mg/acetaminofene 325 mg. Dopo una settimana di trattamento non sono state osservate differenze significative tra i 3 gruppi in termini di controllo del dolore e di limitazione funzionale, e anche a tre mesi di distanza, prendendo in considerazione la richiesta di prestazioni sanitarie, l’efficacia tra i tre gruppi era paragonabile (22).

 

Naprossene pertanto costituisce un approccio ottimale al trattamento del mal di schiena oltre che per il suo profilo di efficacia anche per il profilo di sicurezza cardiovascolare e gastroenterica, come sottolineato da studi ad hoc e dalle raccomandazioni di società scientifiche ed enti internazionali (23, 24, 25).

(qui la bibliografia completa)