Tra svenimenti e situazioni di panico assoluto, in vista delle temutissime analisi del sangue, certamente gran parte degli ospedali italiani avranno di che da raccontare. E se su venti persone intervistate dodici ammettono di ingegnarsi per trovare escamotage e vie di fuga al prelievo, la restante parte ci va “a malincuore”, a causa della paura degli aghi.

Questo tipo di angoscia porta il nome di aichmofobia, e attualmente colpisce nel nostro Paese tre milioni di persone, quindi il 10% della popolazione circa.

Perché questa sproporzionata e irrazionale paura degli aghi?

«Il nostro fisico e il nostro cervello lavorano attraverso un organo che si chiama amigdala» spiega Laura Scrigna, psicologa a Lodi «una sorta di telecamera in grado di riconoscere la situazione pericolosa per l’organismo, che mette in moto un sistema di allerta, artefice della comparsa dell’ansia. In caso di pericolo percepito, si scatenano alcuni sintomi, come l’aumento della pressione, seguito da un battito cardiaco con un ritmo rapidissimo e da un crollo della pressione. Nell’aichmofobia c’è una forte componente genetico familiare: i genitori sviluppano risposte di “evitamento” del problema di fronte al bambino, che a sua volta apprende questi atteggiamenti fin da subito. L’unico modo per affrontare questa paura nel caso il malessere di fronte al prelievo venoso sia ingestibile è la terapia cognitivo comportamentale, destinata a risolvere i problemi dell’ansia»

(Serena Santoli)