Il progetto ORME  (Outcomes research and medtech efficiency), frutto della collaborazione tra Regione Lombardia, Centro studi sanità pubblica dell’università Bicocca, Medtronic Italia e alcuni clinici lombardi, è nato per contribuire a tenere elevati livelli di efficienza del Servizio sanitario lombardo, con particolare riguardo alla sostenibilità dei costi, all’analisi dell’impatto economico, al valore dell’innovazione e alla verifica dell’appropriatezza delle cure.

«È un progetto che analizza l’efficacia e l’impatto che l’innovazione tecnologica ha sul Sistema sanitario lombardo» dice Lorenzo Mantovani, professore al Dipartimento di statistica all’università di Milano-Bicocca. «Il Progetto Orme impiega dati estratti da archivi amministrativi sanitari e li integra con informazioni dei registri clinici o degli studi realizzati in proposito, per valutare l’uso delle tecnologie sanitarie per specifiche aree terapeutiche. Inoltre, analizza come il loro impiego possa influire sulla salute e sui costi di gestione dei pazienti».

Nei diabetici, l’arteriopatia periferica è una complicanza che può portare a serie conseguenze. Il Progetto Orme ha riscontrato che, degli oltre 18 mila pazienti lombardi, meno del 50% sono curati, con una tardiva presa in carico dei malati che, nel 20% dei casi, hanno avuto un’amputazione come prima procedura. Inoltre, chi è sottoposto a rivascolarizzazione, ha il 30% in meno di ospedalizzazioni rispetto a chi non subisce amputazioni maggiori, con degenze inferiori del 52% e sopravvivenze migliori.

Passando al problema della morte cardiaca improvvisa e dello scompenso cardiaco, il Progetto Orme ha indagato l’impatto dei nuovi defibrillatori impiantabili e resincronizzatori. Tra gli oltre 13.800 pazienti che tra il 2000 e il 2010 hanno avuto un nuovo impianto di defibrillatore o di resincronizzatore, le ospedalizzazioni annue per cause cardiovascolari si sono ridotte fino al 50%, così come il costo annuale dei ricoveri per eventi cardiovascolari.

Sempre nell’area cardiovascolare, il Progetto ha esaminato i pazienti con fibrillazione atriale, per studiare l’impatto epidemiologico ed economico attraverso l’ablazione transcatetere. In dieci anni sono stati analizzati i dati di oltre 143 mila pazienti lombardi che hanno avuto almeno un ricovero per fibrillazione atriale con diverse comorbilità, – ipertensione (61%), insufficienza coronarica (30%), patologie cerebrovascolari (21%) – e con probabilità a 8 anni dalla prima ospedalizzazione con diagnosi di fibrillazione atriale pari al 46%. Dai risultati è emerso che il costo medio pro-capite è di oltre 4 mila euro, di cui il 65,2% per le sole ospedalizzazioni. I soggetti sottoposti ad ablazione sono il 5% del totale, con una significativa riduzione delle ospedalizzazioni e degli accessi al pronto soccorso.

La quarta area riguarda la patologia degenerativa della colonna vertebrale, confrontando le nuove tecniche di chirurgia mininvasiva e le cure tradizionali a cielo aperto. I risultati mostrano che il 65% delle cure di stabilizzazione delle stenosi vertebrali può essere corretto con l’approccio mininvasivo, riducendo il periodo di degenza con aumento dei risparmi. L’anemia post-emorragica, complicanza più importante, può essere evitata con la chirurgia mininvasiva, con possibile risparmio di 3.816 euro a degenza.

(Cesare Betti)