È stato dimostrato lo stretto rapporto tra malattie respiratorie croniche e deficit cognitivo in uno studio italiano presentato al Respiration Day 2014 di Parma, convegno patrocinato da Chiesi Foundation. Lo studio “Cognition and chronic airway flow limitation”, che verrà pubblicato sull’International Journal of Chronic Obstructive Pulmonary Difese, è stato condotto su oltre 400 persone per 24 mesi.
Il risultato? Il cervello di un 50enne affetto di una malattia respiratoria cronica, come fumo, bronchite cronica o Bpco (la broncopneumopatia cronica ostruttiva) è simile a quello di un ultra 70enne in salute.
«Rispetto alla gravità del disturbo respiratorio, è emerso che il decadimento delle capacità cognitive si aggrava con il peggiorare della condizione clinica, per cui il deficit cognitivo è risultato maggiore nei pazienti con Bpco (deficit cognitivo conclamato in oltre il 45% dei casi) rispetto al gruppo con bronchite cronica (circa nel 30%) e ai fumatori asintomatici (oltre il 2%)» spiega Roberto Dal Negro, del Centro nazionale studi di farmacoeconomia e farmacoepidemiologia respiratoria di Verona. «I risultati inoltre hanno evidenziato che il danno cognitivo, oltre a essere proporzionale per frequenza e per gravità all’importanza della patologia respiratoria cronica, peggiora con l’avanzare dell’età del soggetto. Ne risulta quindi che perfino un ottantenne fumatore è più deficitario di un ottantenne sano a livello cognitivo. Il fenomeno è ancora più clamoroso se si confrontano i 50enni, che hanno una compromissione delle facoltà cognitive peggiore di quella dei 70enni sani».
Causando il decadimento delle abilità di comprensione e di ragionamento del paziente, la patologia cronica delle vie aeree finisce con il condizionare in modo negativo anche la gestione di questa condizione patologica. Ne può derivare la scarsa aderenza e la compromissione di efficacia della cura. È auspicabile quindi che la valutazione del potere cognitivo di tali malati entri a far parte della routine diagnostica, in modo da permettere di definire le strategie di intervento più adeguate anche sulle potenzialità cognitive del paziente.
(Cesare Betti)