Secondo fonti del Ministero della salute, nel 2013, su 1.102 donatori di organi e di tessuti, sono stati eseguiti in emergenza oltre 13 mila test microbiologici per valutare l’idoneità del donatore e oltre 6 mila test microbiologici supplementari dopo i trapianti. In Italia, le analisi microbiologiche eseguite per accertare che i donatori non siano portatori di virus o di batteri patogeni per il ricevente sono garantite e certificate dalla rete dei laboratori di microbiologia clinica e rappresentano il primo passo essenziale nelle procedure operative dei trapianti per non incorrere in infezioni proprio nel primo e più delicato periodo dopo l’intervento.

In occasione della Giornata nazionale della donazione e del trapianto di organi e tessuti, indetta lo scorso 31 maggio dal Ministero della salute insieme con il Centro nazionale trapianti, l’Associazione microbiologi clinici italiani ha voluto richiamare l’attenzione sulla necessaria tempestività e cautela nella validazione microbiologica di organi, tessuti e cellule del donatore.

L’importanza della tempestività di questi test è riconosciuta da tutti gli staff chirurgici ospedalieri che attendono il referto microbiologico prima di intervenire, in quanto un’eventuale positività per alcuni patogeni escluderebbe la donazione.

«La reperibilità di 24 ore per la validazione microbiologica del donatore ci impegna molto e la responsabilità che ci assumiamo è enorme» afferma Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione microbiologi clinici italiani. «Tuttavia, siamo orgogliosi di quest’attività, poiché anche organismi internazionali hanno certificato come i controlli fatti in Italia siano tra i più accurati al mondo».

Per alcuni patogeni, i test vengono fatti anche nelle 24-48 ore successive il trapianto poiché, se è vero che un’eventuale positività del donatore per alcuni patogeni non lo esclude dalla donazione, agire poi con una terapia tempestiva sul ricevente diventa essenziale, prima che si manifestino i sintomi.

«Per esempio, la positività per il Citomegalovirus non esclude il donatore, ma implica che vengano condotti a cadenza settimanale esami molto specifici sul ricevente nel primo periodo dopo il trapianto, in modo che l’avvenuta trasmissione dell’infezione possa essere identificata all’esordio e trattata nella maniera più opportuna» specifica Tiziana Lazzarotto, microbiologa di Bologna e coordinatrice del Gruppo di lavoro infezioni nel trapianto dell’Associazione microbiologi clinici italiani.

(Cesare Betti)