Efficacia e sicurezza di naprossene sodico nel trattamento della osteoartrosi
di Matteo Longhi, U.O. di Reumatologia, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi – Milano
La osteoartrosi (OA) è la malattia osteoarticolare più comune e principale causa di disabilità, con riduzione della qualità di vita e partecipazione alla vita sociale dei pazienti colpiti, nonché elevati costi economici per la società (1,2).
Attualmente considerata malattia di tutte le componenti articolari, l’osteoartrosi è caratterizzata da perdita della cartilagine, cambiamenti dell’osso subcondrale, infiammazione della sinovia e degenerazione meniscale (3). La OsteoArthritis Research Society International (OARSI) definisce l’osteoartrosi come una patologia che interessa le articolazioni sottoposte a movimento, caratterizzata da stress cellulare e degradazione della matrice extracellulare che prende inizio da micro e macro danni i quali attivano una risposta riparativa mal adattiva (ovvero che porta alla formazione di strutture aberranti) mediante le vie pro-infiammatorie della immunità innata.
La malattia inizialmente si manifesta con una risposta molecolare anomala del metabolismo cartilagineo, seguita quindi da alterazioni anatomiche e/o della fisiologia dei tessuti coinvolti (degradazione della cartilagine, rimodellamento osseo, formazione di osteofiti, infiammazione articolare e perdita della normale funzione dell’articolazione) che portano alla malattia sintomatica (4).
Sintomi e fattori di rischio della osteoartrosi
Tradizionalmente è stata descritta come artropatia degenerativa non infiammatoria, ma oggigiorno è chiaro il ruolo dell’infiammazione anche in questa patologia, come dimostrato da recenti contributi che hanno evidenziato in modo netto il ruolo della flogosi in particolare sulla sintomatologia dolorosa e sulla progressione della malattia (5,6). Le articolazioni maggiormente interessate sono ginocchia, mani, piedi e anche la colonna vertebrale; il sintomo principale è caratterizzato dal dolore al carico sull’articolazione o al movimento, con possibile riduzione del range motorio dell’articolazione.
Possono anche essere presenti rigidità mattutina (solitamente di breve durata), scrosci articolari e, in una minoranza di casi, versamento sinoviale. Tra i principali fattori di rischio, oltre all’età, alle differenze di razza e genere, e a una predisposizione genetica (artrosi delle mani in particolare), si ricordano: mal allineamento articolare, traumatismo maggiore o microtraumi ripetuti, iperattività fisica (attività sportiva intensa) e, all’opposto, inattività fisica, ipotonia e ipotrofia muscolare, stato nutrizionale, obesità e sindrome metabolica.
Nei pazienti obesi sembrerebbero responsabili dell’artrosi non solo il sovraccarico delle articolazioni portanti, ma anche fattori infiammatori prodotti dal tessuto adiposo in eccesso, le cui alterazioni precoci sono evidenziabili tramite Risonanza Magnetica Nucleare, le cosiddette bone marrow lesions (BMLs), particolarmente evidenti in tali soggetti (7).
L’approccio farmacologico
Il trattamento dell’osteoartrosi si avvale di un approccio farmacologico, volto al controllo dei sintomi e al rallentamento della degradazione cartilaginea, di un programma fisiochinesiterapico e della chirurgia ortopedica. L’importanza dell’infiammazione nella genesi, mantenimento e progressione della malattia e la presenza costante del dolore rendono ragione dell’uso sempre attuale dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) per via sistemica nel trattamento dell’artrosi, come peraltro evidenziato da tutte le principali linee guida internazionali. I FANS possono essere utilizzati come primo approccio nelle varie fasi di malattia (8,9), ma anche dopo inadeguata risposta alla terapia topica o con paracetamolo (10,11): infatti recenti revisioni della letteratura hanno posto seri dubbi sull’effettiva utilità del paracetamolo nell’OA (8), derivanti sia da un’efficacia considerata clinicamente trascurabile (12, 13, 14), sia dalla comparsa di reazioni avverse associate all’impiego prolungato (15).
L’utilizzo dei Fans nella osteoartrosi
Una recentissima revisione ha dimostrato che non vi sono significative differenze tra i FANS, gli oppioidi blandi (come il tramadolo) e gli oppioidi maggiori nel controllo del dolore nell’artrosi di ginocchio (16). Questa localizzazione dell’artrosi, detta anche gonartrosi, è una forma ad andamento progressivamente invalidante, molto comune nella popolazione: si stima che colpisca più di 250 milioni persone in tutto il mondo (17), comportando una compromissione della funzione articolare e costi sociali molto elevati per perdita della attività lavorativa, prepensionamento e interventi chirurgici di sostituzione protesica (18).
Tra i diversi FANS, naprossene sodico vanta una serie di studi a supporto della sua efficacia nell’osteoartrosi e in particolare alcuni tra i primi trial randomizzati di confronto con altri farmaci nell’artrosi di ginocchio e anca. Un trial randomizzato in pazienti con gonartrosi o coxartrosi (artrosi dell’anca) ha dimostrato una sostanziale equivalenza tra diclofenac 75 mg per 2 volte al dì e naprossene sodico 250 mg per 2 volte al dì, entrambi superiori al placebo (19).
L’efficacia di naprossene sodico ai dosaggi normalmente utilizzati nell’osteoartrosi è stata ulteriormente dimostrata in numerosi studi clinici, tra cui uno studio multicentrico in doppio cieco per valutare l’efficacia di naprossene verso placebo in soggetti affetti da osteoartrosi dell’anca e del ginocchio (20). 59 donne e 30 uomini con età media di 66 anni sono stati trattati in maniera casuale con naprossene, 750 mg /die (bid 375 mg), o con placebo in doppio cieco. Dopo 4 settimane di trattamento i soggetti sono passati al trattamento alternativo per un secondo periodo di altre 4 settimane. L’analisi delle variabili misurate ha dimostrato l’efficacia di naprossene nell’alleviare i sintomi dell’osteoartrosi, differenziandolo rispetto al placebo in maniera statisticamente significativa (p = da 0.0001 a 0.004). Il dolore al movimento e alla digitopressione è risultato ridotto, le attività di vita quotidiana sono migliorate, la gravità complessiva dei sintomi come la durata della rigidità mattutina è risultata ridotta e il tempo di percorrenza, misurato con il parametro “25-foot walking time” è migliorato; i valori del range of motion al ginocchio sono risultati significativamente migliorati.
/>Tre molecole a confronto
Uno studio di confronto fra naprossene, celecoxib e diclofenac (21) denominato SUCCESS I (Successive Celecoxib Efficacy and Safety Study I), della durata di 12 settimane, che ha coinvolto più di 13mila soggetti con osteoartrosi, ha dimostrato che non esiste alcuna differenza significativa nell’efficacia di celecoxib, diclofenac e naprossene. Recentemente è stata redatta una review che ha preso in analisi la letteratura sul trattamento della gonartrosi confrontando differenti approcci (22): paracetamolo, diclofenac, ibuprofene, naproxene, celecoxib, corticosteroidi intra-articolari, acido ialuronico intrarticolare, placebo per via orale, e placebo intrarticolare.
Su 129 studi clinici che hanno coinvolto 32.129 soggetti affetti da osteoartrosi primaria di ginocchio, tutti i trattamenti farmacologici considerati si sono dimostrati significativamente migliori rispetto al placebo per via orale nel trattamento del dolore, con efficacia differente fra loro, da quello meno efficace, il paracetamolo, a quello più efficace, l’acido ialuronico per via intra-articolare. Naprossene, ibuprofene, diclofenac, acido ialuronico e i corticosteroidi intra articolari hanno dimostrato di essere significativamente più efficaci di paracetamolo.
Una subanalisi su 76 studi che hanno coinvolto ben 24.059 soggetti ha valutato i risultati riguardanti l’efficacia dei trattamenti farmacologici presi in considerazione sulla funzionalità articolare. Tutti gli interventi farmacologici, a eccezione dei corticosteroidi intra articolari, sono risultati significativamente superiori da un punto di vista statistico rispetto al placebo per via orale in termini di efficacia sul miglioramento della funzionalità articolare. Naprossene, ibuprofene, diclofenac, e celecoxib si sono dimostrati significativamente migliori rispetto al paracetamolo; inoltre hanno dimostrato una maggior efficacia, statisticamente significativa, rispetto al placebo per via orale e a paracetamolo nel migliorare la rigidità articolare.
Automedicazione con naprossene
L’efficacia di naprossene sodico è stata valutata anche a dosaggi inferiori, tipici dell’automedicazione e quindi dispensabili anche dal farmacista, per un massimo di 440-660 mg al giorno. Due studi hanno infatti comparato l’efficacia di naprossene sodico a ibuprofene (1200 mg al giorno) e a paracetamolo (4000 mg al giorno) in soggetti affetti da gonartrosi.
Il primo studio, che ha coinvolto 461 pazienti trattati consecutivamente per sette giorni, ha mostrato un’efficacia sostanzialmente paragonabile tra naprossene sodico e ibuprofene nel ridurre il dolore totale, anche se naprossene sodico ha mostrato un controllo migliore del dolore a riposo e del dolore notturno rispetto a ibuprofene (23).
Nello studio di comparazione con paracetamolo, dove 465 pazienti sono stati inclusi nell’analisi, naprossene sodico ha mostrato un controllo del dolore nettamente superiore, con differenze statisticamente significative dal placebo a partire dal primo e per tutti i sette giorni di trattamento, al contrario di paracetamolo che mostrava punteggi diversi dal placebo solo in quattro giorni su sette. Inoltre, naprossene sodico ha mostrato efficacia in una serie di end point secondari quali il dolore a riposo, il dolore al movimento passivo, il dolore al carico, la rigidità mattutina, il dolore diurno e il dolore notturno (24).
Questi risultati indicano che l’efficacia di naprossene è mantenuta anche quando il dosaggio viene ridotto, una caratteristica importante perché la riduzione del dosaggio del FANS permette di contenere l’incidenza delle reazioni avverse.
Complicanze gastrointestinali: non tutti i FANS sono uguali
In anni recenti l’uso diffuso di FANS per via orale è stato messo in discussione a causa della comparsa di complicanze a carico del tratto gastrointestinale superiore (GI) e di eventi cardiovascolari (CV). È importante precisare che la classe dei FANS non è costituita da farmaci omogenei, ma da molecole differenti anche per quanto riguarda gli effetti collaterali. Inoltre, anche i pazienti non sono tutti uguali ed è certamente importante identificare i pazienti a elevato rischio di eventi avversi CV e/o a rischio di complicanze al tratto GI.
Tra i FANS non selettivi, ibuprofene e naprossene sembrano preferibili a diclofenac, quest’ultimo associato a un maggior rischio cardiovascolare. Alcuni autori raccomandano naprossene come FANS da preferire in pazienti ad alto rischio CV a causa del suo basso rischio di eventi cardiovascolari (25). Questa raccomandazione è supportata anche da enti internazionali, come l’American College of Gastroenterology (26), il National Institute of Health and Care Excellence (27) e l’American College of Rheumatology (9).
Nella terapia dell’osteoartrosi naprossene può costituire quindi una valida scelta con un approccio graduale che parta da dosaggi contenuti (fino a un massimo di 660 mg al giorno, raccomandabili dal farmacista), che si sono dimostrati efficaci e in grado di ridurre l’incidenza di eventi avversi, per eventualmente salire a dosaggi più elevati, sotto il controllo medico, qualora il controllo del dolore non risulti soddisfacente.
(qui la bibliografia completa)