Esiste un legame stretto tra tumore al seno e osteoporosi, causato dalla terapia ormonale adiuvante con inibitori dell’armatasi, ma purtroppo questo legame viene spesso sottovalutato, a scapito soprattutto della salute delle donne più giovani.
Da un’indagine recentemente condotta dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna con il contributo non condizionato di Amgen, su un campione di 81 donne affette da tumore alla mammella in terapia ormonale adiuvante con inibitori dell’armatasi, con un’età compresa tra 32 e 81 anni, risulta che quasi tutte (l’87%) sono informate sugli effetti che questa cura ha sulla salute dell’osso, ma il 43% non viene trattato per prevenirla, percentuale che sale al 76% considerando soltanto le donne più giovani. Per più della metà delle intervistate l’osteoporosi è l’effetto negativo della terapia che spaventa maggiormente: ben 7 donne su 10 la citano ancora prima di un’eventuale inefficacia della terapia antitumorale.
Tumore al seno e osteoporosi: le linee guida per la salute dell’osso
Ogni anno circa 250mila donne entrano in terapia ormonale adiuvante per un tumore al seno e le Linee Guida Nazionali sia dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, AIOM sia della Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro, SIOMMMS, raccomandano di iniziare sempre una terapia per la fragilità ossea in concomitanza con l’inizio del trattamento con inibitori dell’armatasi, senza necessità di accertamenti preliminari, per prevenire l’osteoporosi.
Le fratture a livello vertebrale sono le più frequenti e sono spesso asintomatiche. Si diagnosticano facilmente con una radiografia o monitorando l’altezza: il calo anche di un solo centimetro è un segnale predittivo rilevante.
«Il tumore del seno colpisce oggi molte giovani donne. Alcune terapie a cui vengono sottoposte, però, danneggiano seriamente la salute delle ossa» ha detto Francesca Merzagora, presidente di Onda «Abbiamo constatato che le donne italiane sono informate sulle conseguenze che la terapia adiuvante ormonale può provocare sulle loro ossa, soprattutto grazie al ruolo proattivo dell’oncologo. È interessante sottolineare però che, mentre la maggior parte del campione over 50 assume farmaci per la salute delle ossa, tra le più giovani 4 donne su 5 non hanno mai assunto una terapia specifica. Tra le donne che non hanno ricevuto diagnosi di osteoporosi, 3 su 5 non assumono alcuna terapia per prevenirla. Inoltre, ben il 60% delle donne intervistate, di età inferiore ai 50 anni, dichiara di non aver mai effettuato esami per controllare la salute delle ossa (MOC/ultrasonografia) dopo l’inizio della terapia ormonale».
Tumore al seno e osteoporosi: l’intervento dell’AIFA
Anche l’AIFA, con un recente aggiornamento della Nota 79 ha riconosciuto che il rischio di frattura delle donne in blocco ormonale adiuvante con inibitori dell’aromatasi è talmente alto da giustificare la rimborsabilità dei farmaci per la fragilità ossea sin dall’inizio della terapia antitumorale senza la necessità di esami specifici.
«Il fatto che le donne non siano trattate in maniera adeguata stride particolarmente con quella che è la possibilità terapeutica a disposizione sia dello specialista dell’osso sia dell’oncologo» ha spiegato Francesco Bertoldo, Endocrinologo del Centro Malattie del Metabolismo Minerale e Osteoncologia del Policlinico GB Rossi, Università di Verona. «L’aggiornamento della Nota 79, infatti, non stabilisce né una soglia di intervento in base alla densitometria né la necessità di appurare se si sia già verificata una frattura. Quindi, la paziente ha la possibilità e il diritto di essere trattata in prevenzione primaria fin dall’inizio della terapia ormonale e per tutta la sua durata. Particolarmente preoccupante è che le donne giovani, che meriterebbero ancora più attenzione, sono sottotrattate. Tra l’altro, esistono dati che dimostrano come le donne con tumore della mammella, in trattamento con inibitori dell’aromatasi che fanno anche una terapia per la fragilità ossea abbiano una mortalità molto più bassa per il tumore rispetto alle donne che non la fanno e un più basso rischio di ripresa della malattia».
«In questa direzione, interessanti novità arrivano dai congressi internazionali come l’ASCO di Chicago e il Breast Cancer Symposium di San Antonio» ha spiegato Daniele Santini, oncologo medico dell’Università Campus Bio-Medico di Roma «durante i quali sono stati presentati i dati dello studio di Fase III ABCSG-18, condotto su donne operate per tumore alla mammella in trattamento con inibitori dell’aromatasi, che assumevano denosumab o placebo. Tale studio, oltre ad aver evidenziato una riduzione del 50% del rischio di comparsa di frattura clinica, ha mostrato una riduzione del rischio di ricomparsa della malattia che si attesta intorno al 18%. A conferma di ciò il dato della recente meta-analisi dell’Early Breast Cancer Trialist Group, pubblicata su Lancet, evidenzia come anche altri antiriassorbitivi possano migliorare la DFS (Disease Free Survival ovvero l’intervallo di tempo prima che la malattia si ripresenti) nelle donne in post-menopausa».